Mare e cielo, l’incontro di due anime nell’immenso: io e te

Mare e cielo, due paradisi? Forse, di colorazione molto simile e di limpidezza eguale. Così simili e così diversi, ma sempre uniti. Forse, il mare ricongiunge il corpo con l’anima: è il ponte che collega noi con coloro che vivono altrove, in un posto magico ed eterno, privo di sofferenze. Là dove tutto è possibile, là dove un angelo rimane per sempre…

Il mio angelo custode

Stamattina sono andata al mare e l’ho visto così limpido, l’ho sentito così dentro me. Era una trasparenza atipica, in grado di farti percepire il profondo. Mi ci sono immersa ad “occhi chiusi”, con tutta la mia fiducia e con tutta la mia speranza, che mai utilizzo del tutto nella quotidianità perché sai, non è facile lasciarsi andare con il male che ci circonda. E’ così che mi sento oggi, dopo tanti giorni, tanti mesi… tanti anni. Oggi ti sento più che mai. E proprio per questo credo che il mare e il cielo siano così distanti ma allo stesso tempo vicini, combacianti.

“Puoi sentirmi ancora dimmi che mi senti 
lo voglio pensare che puoi.”

Recita così una canzone dei Pooh e io voglio pensare a questo, ma lo sento davvero, lo sento che sei dentro me e continuo a viverti attraverso le sensazioni. Tu non te ne sei mai andato, sei nell’aria che respiro e nella forza che trovo per rialzarmi quando sto male. Perché se ho ripreso a scrivere e il primo motivo sei stato tu, allora ci credo, ci credo che ci sei.

MARE E CIELO, per sempre insieme

Se guardo l’orizzonte vedo una sola distinzione: mare e cielo, me e te, uniti per la vita e per l’eterno. Perché forse è proprio vero che il regalo più bello che puoi fare ad una persona è il tuo tempo, perché da quando ho iniziato a dedicartelo non avrei mai immaginato che ne sarebbe passato così tanto e non ci saremmo mai persi.
Credo che se ogni anno ti ricordo, allo stesso modo di quando qualcuno mi conosce e gli racconto sempre di te, anche lasciando trasparire un po’ di dolore oltre alla tenerezza, significa che allora il tempo mi ha fatto capire che tu sei importante. Nonostante abbiamo vissuto poco tempo insieme sullo stesso pianeta, forse tutto questo ricordarti, questo pensiero così vivido che ho ancora per te e questo legame che sento quasi inscindibile, vorrà dire che se fossi rimasto qui avremmo vissuto molto di più. Ma Tu mi ha fatto conoscere l’immenso che nessuno mi farà mai conoscere.

CONCHIGLIA: l’emblema di un ricordo insieme

Stamattina, dopo quel bagno quasi “santo”, illuminante, che mi ti ha fatto rivedere forse, ma senza accorgermene troppo, perché si sa, quando perdi qualcuno, rivederlo ti fa sia male che bene. Dunque, ho iniziato a raccogliere, come facevo qualche tempo fa, delle conchiglie. Forse può sembrare una cosa poco sensata o inadatta al momento, ma invece lo è eccome. Ho iniziato a pensare che le conchiglie fossero parti di noi, un po’ come quello che lasciamo a qualcuno quando ce ne andiamo e il mare ci porta via per farci approdare a quel porto speciale. Le conchiglie sono parti frammentate del nostro vissuto, della nostra personalità che lasciamo, inconsapevolmente e senza alcun criterio di selezione, sulla riva di chi prima o poi vorrà ricordarci. Chi merita di riviverci. In tal modo lasciamo per davvero qualcosa di noi a qualcuno. Non con i regali, con le parole o quant’altro, ma con un ricordo insieme.

E così stamattina ho raccolto quei pezzi della vita che dovevo ricordare, avvertire così intensamente e che anche tu forse, da qualche parte, hai desiderato che rivivessi. E se davvero hai fatto in modo che ciò accadesse, se hai pensato che sono io quella persona che lo meritava e mi hai dato modo di credere che anche io per te sono ancora importante, non posso che commuovermi. Non posso che sognare e continuare a viverti attraverso le emozioni.

I fiori più belli che ci sono

Alexandra Romano
Stesura: 12/09/2018

L’amore, il nostro “salto nel vuoto”

Forse amare ci spaventa, ci terrorizza più che mai. Forse lasciarsi andare completamente al cuore è una delle cose che ci fa tremare di più. Strana asserzione? Forse, dal momento che ognuno di noi è spesso alla ricerca perenne di qualcuno che ci renda la persona più felice al mondo, che faccia di noi un nuovo universo: il suo, quello in cui abitare. Ancora un altro forse, poiché sin da piccoli ci inculcano nella testa una forma di amore quasi mitizzata, immaginaria… basti pensare alle tante favole, ai tanti film, ai tanti libri e molto altro ancora che ha fatto dell’amore la sua più grande fonte di ispirazione. O meglio, l’amore forse è un po’ ciò da cui parte la nostra ispirazione alla vita, sì, perché quando quel qualcuno entra a far parte nella nostra vita è come se in noi si ricolorasse tutto, in maniera ancor più vivida.

Ma perché amare ci fa paura, se rappresenta un po’ il nostro superamento del limite, il nostro mondo magico? Se amare significa per noi un qualcosa che ci solleva in alto, ci fa elevare oltre il paradiso allora perché siamo spesso prevenuti?

Abbiamo tanta paura perché amare è l’unica cosa che non ci insegnano a fare e impariamo con qualche errore qua e là; impariamo a spese della nostra pelle, della nostra mente e dei nostri organi; impariamo attraverso i segnali emanati dal nostro corpo, dalla nostra mente… impariamo facendoci male, piangendo, sorridendo, emozionandoci. Eppure, anche se al primo impatto può capitare di non accorgersene o girare più volte lo sguardo dall’altra parte, prima o poi, arriverà un momento. Non si potrà scappare più e si dovranno fare i conti con sensazioni, emozioni, pensieri, paure… eppure, anche se non vogliamo, anche se non possiamo, la vita ci dà segnali in ogni modo. Segnali che se ignorati diventeranno sempre più intensi, fino ad arrivare ad un punto che non si potranno ignorare più. Perché l’amore, quando nasce, è universale, onnipotente… diventa inevitabile.

Alexandra Romano

“Questo mondo corre troppo”

Questo mondo corre troppo e non ci dà il tempo di vivere, o almeno, di farlo con i dovuti tempi. Siamo nell’era in cui tutto scorre velocemente come una corrente marina, o meglio, una cascata: trascina con sé quasi tutto il passato spesso rendendolo dimenticanza, insignificante. Quante volte ci capita di vedere un post su un social e tre secondi dopo subito scompare, catapultato da altri più recenti? Così accade con le news: una notizia importante ha la stessa durata di una riguardante l’intrattenimento. Così accade con i sentimenti: nel mondo social anche essi vengono trasportati con la velocità del vento e celati con il filtro odierno più potente.

Stiamo correndo troppo e questa corsa ci sta accorciando la vita, ci sta smorzando l’anima. Sì, perché diamo meno peso alle cose, ai sentimenti e agli attimi importanti: non ne abbiamo il tempo!
Tutta questa rapidità fa anche sì che ciò che si fa, si dice e si vive sia il più piccolo possibile: chiamate istantanee, post o articoli molto corti, sguardi negli occhi fuggitivi. La maggior parte della nostra vita è dedita alla simultaneità e alla simulazione. Viviamo di verosimiglianza o invenzione, di immagine, ma non più di realtà. Oppure poco. Viviamo ventiquattro ore su ventiquattro su un palcoscenico di dubbia costruzione, senza sapere spesso che parte recitare, qualche ruolo interpretare. Siamo i migliori attori non protagonisti nella vita di persone con cui dovremmo recitare le parti principali.

Oggi, viviamo poco e vediamo tantissimo, o tutt’al più guardiamo. Siamo abituati a viverci la vita ma facendolo a stento. Viviamo con gli altri guardando le loro storie su Instagram, li ascoltiamo leggendo i loro post, ma non è detto che questo avvenga con attenzione. Queste cose sono il mero prodotto di una quotidianità pregna di social e mondi virtuali. Non ho scelto il verbo vedere perché avevo bisogno di un sinonimo: “vedere” non implica quell’attenzione di cui abbiamo bisogno per “guardare”. Spesso, partecipiamo virtualmente alla vita degli altri, ma senza neanche accorgercene. Molto di quello che facciamo è pura abitudine, tanto da dargli poca rilevanza.

I social dovrebbero essere un surrogato, una qualche aggiunta per arricchire le nostre relazioni, il nostro “tenerci in contatto”, ma non sostituire la vita. Certo, grazie ai social siamo molto più vicini quando siamo lontani chilometri; possiamo comunicare nell’immediato… ma non devono diventare sostituti della vita, del vivere.

Alexandra Romano

La violenza non serve: “supervalutiamo” il bene!

“Prima di metter le mani addosso
A chi ti ha solo capito male
Ascolta dentro te stesso”
(…)

Recitava così una canzone dei Pooh nel lontano 2004, il cui titolo, “Ascolta”, è anche quello dell’album. Penso che in questi tre versi ci sia tutto: poesia, umanità, realtà, tristezza, ragione, paura… certo, non bastano per descrivere tutte le atrocità che abbiamo commesso gli uni contro gli altri su questo pianeta, ma esemplificano in maniera molto chiara e non banale un sacco di cose. Maltrattamenti, omicidi… secondo me, tre sono le parole che descrivono ognuna di queste frasi: violenza, incomprensione, riflessione.
La prima parola è una di quelle che non dovrebbero esistere nel nostro lessico, che compaiono nel vocabolario per motivi spiacevoli.

E’ da un po’ che mi chiedo, forse troppo spesso, perché ci schiantiamo l’uno contro l’altra. Com’è possibile che siamo arrivati a creare delle armi per distruggere noi stessi, e soprattutto con quale forza d’animo riusciamo a puntare una pistola contro qualcuno che ha solo qualche anno di vita? Come riusciamo a lanciare, pestare, gridare contro dei cuccioli, animali o umani che siano?

Ho visto bambini essere picchiati solo perché non facevano quello che indicavano loro gli adulti; ricevere una sberla in faccia perché volevano un giocattolo in più o stare altri cinque minuti al mare. Ho ascoltato telegiornali parlare di femminicidi, donne maltrattate dai loro fidanzati o mariti per delle incomprensioni, donne che non potevano più vivere la loro vita, decidere per se stesse divorate dalla paura… Ho guardato notiziari che raccontavano di bambini uccisi addirittura dai loro genitori, amici scannarsi tra di loro… risse nate da un cocktail o un motivo, spesso stupido di fronte ad una costola rotta o il fin di vita.

Dovremmo rabbrividire in un modo ineguagliabile al pensiero che oggi, nella lista dei possibili omicidi, potrebbe esserci quello di un padre contro il proprio figlio, di un ragazzo (o di una ragazza) contro la propria fidanzata… persone che dovrebbero amarsi come non mai, che una volta dicevano di amarsi, volersi bene.
L’amore non è questo. Per quanto pieno di spine, sentieri tortuosi: il bene più puro non può condurre alla violenza. Ad una lacrima sì, ma non ad una goccia di sangue.

La violenza non serve!

Si sente ovunque di assassinii avvenuti per gelosia, invidia o per il puro gusto di farlo. Attentati che spazzano via centinaia di vite, in molti paesi d’Europa e nel mondo. Oggi diffondere violenza di ogni tipo, anche la più minima, è diventata quasi prassi, per non parlare del cyberbullismo: se ne alimenta con la velocità di un fulmine e se ne distribuisce come l’aria. Ma smettiamola!
Smettiamola di disprezzarci, di alimentare odio, di sentirci soli (anche se così solidali tra noi non lo siamo).
È un ossimoro: detestiamo la solitudine estrema, eppure, non preserviamo al meglio le relazioni. Ci chiudiamo peggio di una conchiglia, serbiamo mari di segreti, parole e gesti inespressi… basta!
Siamo arrivati a questo punto proprio perché non abbiamo sfruttato la parola, abbiamo lasciato correre… fino ad arrivare all’incomprensione, ad oltrepassare il limite.

Supervalutiamo il bene”

Non dobbiamo abituarci a tutto questo, nonostante sia sempre più frequente: la violenza non porta mai a niente, se non ad altro male. Neanche per un secondo dovremmo pensare che ormai il mondo è cambiato, procede in maniera perversa, perché siamo noi umani a farlo cambiare. Abitiamo su un pianeta che ci consente di fare tutto quello che è in nostro potere.
Bisogna parlare, la caratteristica più bella di cui ci ha dotati la natura, altrimenti a cosa ci serve? Bisogna abbracciarsi se qualcosa non va e la voglia di farlo fermenta dentro di noi. Bisogna amarsi se lo si desidera più che mai e lasciare l’orgoglio da parte, al massimo per un secondo momento.
Se proprio vogliamo vivere nell’eccesso, proviamo, almeno per una volta a vivere in un eccesso d’amore: proviamo a
supervalutare la pace e il bene.

Alexandra Romano

Scegliere: una delle nostre più grandi forme di libertà

Le nostre origini: un piccolo assaggio di come siamo fatti

All’inizio della nostra vita, siamo molto propensi a condividere, a voler fare le cose insieme, e non è una caratterista che in età adulta scompare del tutto. Studi scientifici dimostrano quanto l’uomo sia un animale sociale, nato per comunicare: se provassimo a vivere in uno stato di isolamento, soprattutto nei primi anni di vita, resisteremmo a stento. La corroborazione intersoggettiva, l’avere conferma da altri individui in merito alla nostra esistenza, è una cosa importantissima. Ma anche riuscire a costruire intorno a sé una storia, perché fondamentalmente siamo ciò che raccontiamo di noi: per questo, dovremmo scegliere degli ottimi ingredienti per creare la narrazione di noi stessi. E’ questo e nient’altro a determinare la nostra immortalità o meno.

Ancora non basta però, perché l’uomo ha enormi potenzialità, che esistono soprattutto grazie al cervello di cui è dotato. Le cosiddette subordinate ipotetiche, ovvero, delle soluzioni alternative che vede in ogni situazione poiché il suo cervello non è mai fermo solo all’hic et nunc. Ed è da qui che forse parte il nostro dovere a scegliere, il nostro diritto. Purtroppo però, nella scelta, spesso siamo soli. La vita umana non è tutta rose e fiori, fatta di affetto e abbracci, oggigiorno soprattutto. Si parla perfino di terrorismo, omicidi: l’uccisione di noi stessi!
Ma non discostiamoci dall’argomento: ci saranno momenti della nostra vita in cui avremo tante persone accanto, e altri in cui ci sentiremo un po’ più soli.

LA MIA RIFLESSIONE

Alla fine impari, impari a vedertela da sola, a non contare più su nessuno, per delusione o per altro, perché così deve essere. Perché in fondo, è importante sapersela vedere per sé. Perché le persone scompaiono, si modificano, arrivano, vanno, vengono, oppure cercano di restare ma siamo noi a farle andare via… e intanto siamo qui, noi stessi, gli unici artefici del nostro destino. Che grande responsabilità eh? Forse la più grande che possiamo mai avere durante tutta la nostra vita, essere autori del nostro star male o del nostro sta bene, di una felicità mancata o di una lacrima in meno.

Alla fine impari a non chiedere più aiuto, a prendere delle decisioni, autonomamente. Forse giuste, forse sbagliate, ma intanto le prendi. Tutti, costantemente, durante la nostra vita siamo costretti a scegliere. Un altro aspetto importante e difficile dell’uomo: non nasciamo eterocostretti, eppure, dobbiamo autocostringerci.
Parliamo tanto di legittimità, libertà, quando poi tutto questo, alle volte non esiste. Non siamo liberi, per il semplice fatto che non possiamo scegliere di “non scegliere”, essere neutrali: in un modo o nell’altro, dovremo sempre prendere una decisione con il rispettivo carico di responsabilità.
Qualunque cosa accada, che sia la più bella o la più brutta, per quanto possono consigliarci, siamo sempre noi. Noi e nessun altro. Ed è importante imparare a scegliere, perché è forse l’unica vera libertà che abbiamo.

Sarebbe bello se con noi ci fosse qualcuno in ogni momento, anche il più difficile, che ci aiuti a farlo. Invece non sempre accade, perché la vita va così. Anche la persona che più vorrebbe starci vicino, noi stessi, può capitare che non può esserci.
E comunque sia, siamo sempre noi ad agire, siamo sempre noi a decidere… ed è da tante scelte che impariamo sempre di più a “vivere”.

Forse è per questo che quando abbiamo capito tante cose, il nostro ciclo è giunto al termine. Perché la vita è un’esperienza meravigliosa, irripetibile e non va sprecata.

Alexandra Romano

La vita è un’extrasistole da forte emozione

ADRENALINA

Tutto magico, tutto si trasforma e niente non ha un suo peso, una sua rilevanza. Un treno, un orario e una giornata può cambiare così, senza neppure accorgersene. Nella vita, le cose più belle sono quelle che arrivano per caso, quelle che non si riescono oppure non si possono raccontare. Già, chi non ci dice che negli abissi di ognuno di noi venga serbata la nostra felicità, il nostro piccolo e immenso tesoro. Una dimensione adattata al nostro corpo, al nostro cuore, ma al contempo enormemente stupenda. Anche alla persona più triste, più “sfortunata” prima o poi capiterà il momento, il giorno o l’anno più bello in tutta la sua vita. Anche il minuto o il secondo, perché gli attimi di meraviglia non sono quantificabili in uno spazio di tempo definito o in un luogo esatto della terra. Il luogo può essere nel cuore, nell’anima o in un rapido flash.

Esistono i fulmini a ciel sereno, le tempeste… ma esiste anche il sole in una giornata prevista come nuvolosa, il sole che irrompe così violentemente come un palpito indomabile.
Una semplice stretta di mano può cambiarci la giornata, il sorriso delle persone che amiamo oppure l’interruzione del vento freddo sulla spiaggia. Forse, potremmo paragonare la nostra vita al mare, all’oceano… così immenso, così capace di rigenerarsi ad ogni dì.

RESPIRA: LA VITA è COME IL MARE, VIVILA!”

Un paragone simile, oltre che ad essere una metafora e ad avere la sua consistenza, ha anche una certa correlazione con le nostre origini. La nostra vita infatti, in un’epoca passata era strettamente legata alla religione e alla natura. Un famoso sociologo tedesco, Norbert Elias, parlava di coinvolgimento (in una fase successiva, com’è noto, avrebbe avuto luogo una forma di distacco; nonostante oggi si parli anche di ri-coinvolgimento nelle nostre stesse tecnologie).

Dunque, la vita è come un soffio di vento, l’increspatura delle onde marine, le correnti fredde in mezzo all’acqua tiepida e il caldo tepore del sole… la vita è una giornata di sole. Rilassa, solleva, brucia, sfinisce, rigenera, illumina. Molte cose, a volte, sono così belle al punto da stimolare la nostra mente e superare la soglia del reale. Diventano quasi immaginarie ad un certo punto, che non riusciamo davvero più a crederci. E spesso, sono questi i più genuini attimi di felicità, mascherati nella veste di una persona o un evento.

Alexandra Romano

Giudicare: la voce di chi poco vede

Nella vita ho imparato, sulla base delle esperienze, che esistono diversi tipi di persone. La prima cosa però, è che ho capito che non bisogna mai giudicare, in quanto, non godiamo di una posizione privilegiata o superiore agli altri: siamo fatti della stessa pasta. Credo possa farlo qualcuno che vive lassù, e ci osserva di giorno in giorno. In seguito, sono arrivata a classificarle, ipoteticamente, in due grandi macro categorie.

Ci sono quelle persone che restano in disparte, che parlano poco e intervengono solo quando hanno una forte idea alle spalle. Quelle persone che amano silenziosamente, introverse, che si esprimono poco. Tanto timide da non riuscire a parlare con qualcuno di un problema, o farsi avanti con chi piace loro. Però è ancora più bello quando una persona del genere comincia a confidarsi con noi, a condividere con noi le sue paure, il suo tempo. Ci fa sentire davvero speciali.
E poi ci sono i cosiddetti “protagonisti”, con le idee “radicate da secoli”, la cui parola è ancora più sicura dell’evidenza. Le persone contro cui non si può dissentire perché difficilmente ammetteranno di sbagliare. Parlano tanto, fanno poco e giudicano all’infinito.

Ed è triste come cosa, perché secondo me bisogna ammettere i propri sbagli, o meglio, affermare le proprie convinzioni senza sotterrare quelle degli altri. Perché tutti dobbiamo poterci esprimere, ad un livello reciproco.
Ogni tanto mi capita di avere delle certezze, ma cerco sempre di partire da prove empiriche, dati. Non mi si fraintenda, ma, e credo debba essere così, che per poter affermare pienamente una qualunque cosa, bisogna avere delle fondamenta alla base. In questo modo, potremmo dire a chi ci dice “non è vero”, “non è così”… che le nostre non sono solo parole, o convinzioni effimere.

Un po’ come giudicare senza sapere, e anche se sappiamo, nel caso di una persona, non sarà mai abbastanza per poter esprimere la nostra opinione. Ogni persona, ogni vita è diversa dall’altra e proprio per questo non si può giudicare. O meglio, non si dovrebbe. Non sappiamo perché a partire da una nostra azione, s’innesca una reazione in un’altra persona; non sappiamo perché una persona agisce in un determinato modo; non sappiamo perché una persona Vive in un determinato modo. Al massimo possiamo esprimere un pensiero, un’idea, magari basandoci su come questa persona ha vissuto con noi, in un arco di tempo. Per il resto, credo sia sbagliato.

Giudicare fa male

Secondo me, e forse posso affermarlo senza presunzione, giudicare, è sbagliato a prescindere. Noi non viviamo per far commentare agli altri ciò che facciamo, ciò che pensiamo, le nostre situazioni. E forse, i deboli sono proprio loro. E’ così brutto giudicare, se pensiamo che ogni situazione che vivono gli altri potremmo viverla noi, in quanto appartenenti alla stessa specie. Insomma, parlino pure, quanto vogliono, ma una cosa è parlare e una cosa è vivere. Le parole degli altri non devono influenzarci, non devono spingerci a fare una cosa piuttosto che un’altra. Spesso, si vive condizionati dalle conseguenze, dai giudizi, e non è così che deve andare. Perché si finisce per vivere una vita che non è la nostra. Viviamo e basta, facciamolo in questo preciso istante, e già vedremo come una parte di quell’ansia che tanto ci affligge, diventerà più leggera.

Alexandra Romano

Svegliamoci dal grande male dell’indifferenza: basta un salto

Di recente, mi è capitato di vivere, anche se indirettamente, una brutta esperienza.
Ero ad un concerto, ci stavamo divertendo tutti: cantavamo, ballavamo, ridevamo… D’un tratto però, una persona che era accanto a me, ha iniziato a sentirsi male. Tremava, il suo volto s’impallidiva sempre di più, fino a quando non è svenuta. La folla attorno a lui aumentava ogni frazione di secondo, chiunque si chiedeva cosa fosse successo, come si sentiva questa persona: c’è stato anche chi ha creduto fosse una farsa!
Passato quell’attimo iniziale di “panico”, insomma, di qualcosa che andasse a interferire con le normali aspettative di tutti noi, è tornato tutto dove stava, all’indifferenza. Questo mi ha fatto capire quanto, ormai, due volte su tre conti solo il consumismo. La materialità a danno del valore che attribuiamo alla vita.

PROVIAMO A TRASFORMARE LA SUPERFICIALITà IN UN SINONIMO DELLA CONSISTENZA

La gente si accorge di te solo quando sei al limite, o… capita il peggio.
È così difficile, mi chiedo, riconoscere un favore o un semplice gesto? Siamo diventati talmente vuoti, al punto che l’importante è usufruire di una cosa, sfruttarla e basta. Se ringraziamo, quella stessa persona ci guarda in maniera ambigua.
Se stai male dentro nessuno lo vede, non riescono ad andare oltre la tua pelle, i tuoi occhi. Poi i social network, che hanno contribuito a storcere un contatto diretto… elidendo la possibilità di guardarci senza un medium, di toccarci. Non sono anticonformista, ma l’evoluzione è sia un bene che un male, se non opportunamente guidata.

Oggi vediamo solo il corpo, l’anima è nascosta, e forse, in questo mondo ormai “pericoloso” è meglio.
D’altronde, da soli non si può stare. Potremmo provarci per un periodo, magari anni, ma alla fine emerge, emerge l’impossibilità di avere un cuore sempre stanco, sempre ferito e chiuso alle occasioni. Non dipendiamo dagli altri, sappiamo vivere anche da soli, sappiamo costruire le fondamenta per impedire che la nostra persona crolli se una mano tesa diventa un riflesso.

Ma senza l’affetto, prima o poi anche la persona più vanitosa, flemmatica o più “forte”, crolla. È quel minimo di zucchero che ci addolcisce il caffè, e quel pizzico di sale per dare il giusto condimento alla nostra vita. Bisognerebbe trovare un equilibrio tra ogni cosa, perché continueremo a farci del male a vicenda, a rincorrerci per fare la pace, a sbagliare, ad amare, ad insistere in ciò per cui viviamo. Equilibrio è la parola che ci vorrebbe in ogni cosa, costanza, ma soprattutto attenzione.
Attenzione sia alle piccole che alle grandi cose.

Svegliamoci una volta per tutte, sia dal male dell’indifferenza che della superficialità: non solo con gli altri, ma anche nei confronti di noi stessi. Troviamo questa maledetta forza per essere quello che siamo, lottare per quello che ci fa palpitare, aldilà delle delusioni, delle paure o delle incomprensioni. Troviamo il coraggio di essere noi stessi, anche in un mondo sempre più povero di autenticità!

Alexandra Romano

Narrare: il verbo che trasuda l’umanità

“Ogni trovata narrativa è reale, ne potete star certa. La poesia è una scienza esatta quanto la geometria.”
(Gustave Flaubert)

Avete mai pensato, dopo essere andati a prendere un caffè, di trascriverlo su un foglio? Non importa se eravate soli o in compagnia, se quello che avete scritto non fosse necessariamente riferito a quella bevanda fumante dal colore deciso, ma ad un semplice pensiero.
Avete scritto, narrato.
Ed è un po’ quello che facciamo ogni giorno, anche quando scriviamo la lista della spesa o inviamo un sms: perfino quando siamo indecisi dinanzi ad un vestito!

Diverse ricerche dimostrano quanto ciò sia fondamentale per la nostra stessa esistenza, tant’è che il racconto che ci costruiamo attorno, è un po’ ciò che resterà quando non esisteremo più, materialmente. Insomma, quando continueremo a vivere “narrativamente”.
Il racconto di noi stessi ci dà una stabilità se, per un attimo, voltiamo lo sguardo indietro o facciamo un passo in avanti.

“Viviamo di narrazioni, ogni giorno”

Narrare è fondamentale per chi scrive, per chi riesce ad esprimersi, a sfogarsi e a sorridere con la scrittura. Lo fa chi scrive una lettera d’amore o è fermo ad aspettare lo squillo di un telefono.
Narrare è importantissimo per ogni tipo di creatività. Anche i musicisti lo fanno, certo, non con le parole, ma con le note che scorrono in una melodia.
Chiunque costruisce racconti ogni giorno, percorrendo strade, storie, minuti, pensieri, emozioni… elementi che si aggiungono alla nostra biografia e la rendono consistente. La nostra vita: stupenda nella sua unicità. Un percorso emozionante, instabile, bello, ogni tanto brutto e ogni tanto gioioso, ma che non ci è possibile ripetere.

Le narrazioni entrano in scena anche quando conosciamo qualcuno, nel momento in cui iniziamo a parlargli del nostro passato. Oppure mentre stiamo vivendo un’esperienza, unica, come la vita, nel suo verificarsi. Per quanto potremmo provare a ricrearla, cercando lo stesso luogo, magari la stessa persona, lo stesso orario: vivremo atmosfere diverse.
Narriamo anche quando pensiamo, durante una canzone o un’ora di una giornata: se andremo a riascoltarla o a ricordare quel momento, in noi, si riaccenderà il bagliore e la nostalgia di quel pensiero.

Quando cominciamo a parlare di qualcuno, a raccontare, forse è il momento in cui ci accorgiamo di tenerci, di provare qualcosa. Quando parliamo tra noi e noi, ci rendiamo conto di molte cose, di un problema da risolvere o un’azione da fare. Perché narrare in fondo, è un po’ ciò attorno a cui ruotano le nostre fondamenta.

Alexandra Romano

Un passo indietro: e se fossimo negli anni ottanta?

Ieri

A volte mi domando come vivevano le persone negli anni ottanta, anni, che io amo per molteplici aspetti. Ne amo la musica, i drive in, i grandi saloni letterari, le feste mega galattiche con la musica dance.

Adoro le foto in bianco e nero, i mazzi di rose inaspettati sotto al portone di casa, e avrei amato terribilmente scrivere in quell’epoca. Quegli anni che per me, sono un po’ i più belli della storia.
Adoro quell’epoca perché si dà più peso ai sentimenti, alle emozioni, al senso della vita in ogni sua parte. Oggi siamo troppo distratti, corriamo, ci stressiamo tanto per niente.

Tante volte mi dico “se avessi potuto scegliere, avrei voluto nascere negli anni settanta od ottanta”, e lo penso davvero. Certo, anche quell’epoca avrà avuto i suoi pro e i suoi contro, ma tutto è fatto in questo modo.

Mi piacerebbe scrivere molto di più sull’argomento, ma, per quanto posso averlo conosciuto per “narrazioni”, per quanto possa essermi appassionata, ahimè, l’esperienza è incomparabile. Ci sarà sempre qualcosa che sfugge, e che magari non saprò mai.

“Il grande Duemila”

Ribadisco, come sempre, che le mie sono semplici considerazioni, pensieri sulla base di quello che sento e non ho alcuna pretesa. La maggior parte di quello che scrivo proviene dal reale e dalle mie esperienze. E dunque, oggi siamo più vicini, siamo tutti connessi e attraverso i social possiamo prendere parte alla vita degli altri, anche quando non siamo con loro. Cosa che, prima, pensavamo fosse impossibile. Al contempo però, siamo più soli, siamo più distanti e meno espressivi. C’è più difficoltà per affermarsi nel campo della musica o della scrittura, una grande sottovalutazione dell’arte in ogni sua parte.

A volte, mi immagino a scrivere il mio primo libro con una penna stilografica, anziché un computer. E devo dire, ci sono quasi arrivata: l’ho scritto con una penna normale, su un quaderno, tra i banchi di scuola e la scrivania di casa, poi, ovviamente l’ho trascritto al pc. Non è un caso per chi lo pensasse: malata cronica del cartaceo e dei libri!

A volte, immagino un mondo in cui l’editoria è il mercato prevalente, privo di ogni ostacolo, e chiunque sogna di scrivere riesce a realizzare quello che vuole, senza soffrire troppo. Anche chi vuole realizzare qualcosa che non appartiene a questo mondo.

Prima non eravamo così avanzati a livello tecnologico, eppure, per diversi aspetti si viveva meglio, anzi, si Viveva. Già, perché per quanto navigare, “conoscere” qualcuno con un approccio “virtuale” possa essere intrigante, divertente, non va bene. Non ci si vede più.

Le persone vanno vissute, l’approccio fisico non può e non potrà mai competere con “un’idea”.

Alexandra Romano