Misery di Stephen King (1987) – RECENSIONE

Per me l’estate è il momento in cui le passioni, riscaldate dal tepore dei raggi del sole, trovano la loro massima espressione. Si legge, si suona, si scrive. Ci si emoziona. Quando scocca l’ultima ora di lavoro o si accetta il voto dell’ultimo esame della sessione è come se, ogni volta, rinascessimo nel corpo e nello spirito. Misery è un grande romanzo psicologico, a tratti influenzato dalla psicoanalisi froidiana, perché le sfumature della psiche rigettate ai confini dell’immaginario collettivo. I lati più oscuri dell’essere umano in quanto tale, riescono a esprimersi sotto forma di nevrosi ed esasperazione nei due protagonisti.

La mia recensione…

In estate, quel senso di costrizione che attanaglia il nostro istinto sparisce nella pioggia di stagione, lasciando spazio alla nostra essenza. Annie e Paul mi hanno accompagnata in questa transizione, con i loro pregi e difetti, poi hanno deciso di lasciarmi dopo qualche settimana.
L’abilità di orchestrare le storie più impensabili, più introspettive e arricchirle di dettagli e descrizioni azzeccate resta un pregio indiscusso di Stephen King. La storia di Misery è un elogio alla scrittura e al rapporto tra scrittore e lettore, la trama secondaria che viaggia su un binario parallelo a quello della principale.
Eppure King non è solo un “mago dell’horror”, ma anche un grande psicanalista. Servendosi di personaggi come quello degenerato (ma eccezionale) di Annie, King mostra i lati più oscuri dell’essere umano. Li porta alla massima potenza e li racconta per quello che sono, senza freni inibitori o convenzioni imposte dalle società civilizzate.

Annie è la pecora nera del villaggio, che colleziona le figurine delle sue vittime, ma ha anche una grande ossesione: Misery, una saga che terminerà con la morte della protagonista a cui Annie non riuscirà mai a dare una spiegazione. Ed è qui che emerge il lato oscuro della psiche umana, quell’istinto represso che riesce a esprimersi solo nella sua forma peggiore.
Nella figura di Paul, invece, ritroviamo l’istinto di sopravvivenza. Quello che ci rende vivi e di fronte al quale ogni differenza tra gli esseri viventi più diversi si riduce a un grumo di sabbia. Paul è uno scrittore famoso, che in seguito a un incidente perde la capacità di camminare e diventa ostaggio di Annie e delle sue manie. Ma entrambi sono accomunati da quel senso di costrizione, dal peso della società che impone agli individui di comportarsi secondo norme prescritte e non secondo la loro natura. Quindi ecco che trionfa anche il suo lato oscuro, che gli permetterà di riacquisire quella libertà persa.

L’impianto psicologico dietro Misery

Misery si fonda sulla contraddizione tra uomo, in quanto individuo con le pulsioni e i suoi desideri, e società, la sovrastruttura marxista che impone la sua ideologia sull’uomo. In questa imposizione, sono insiti anche i limiti delle pulsioni sessuali e aggressive, senza i quali la civiltà non potrebbe realizzarsi. Tuttavia, l’uomo (la struttura per Marx) è l’impalcatura che sostiene e che dà senso alla società. Per Marx gli uomini sono le forze produttive, per Freud sono individui assoggettati alle normative, che entrano in uno stato di nevrosi. Annie non riesce a risolvere il suo conflitto con la società, così si rinchiude in una casa in campagna e quando incontra Paul le sue nevrosi sfociano in impulsi irrefrenabili.

La regina delle sirene di Alexandra Christo (2021) – RECENSIONE

Lira, soprannominata il Flagello dei Principi, nasce nel mare Diabolos e appartiene al regno delle sirene: mostri spietati che per tenere alta la stirpe si nutrono dei cuori dei princìpi. A sua madre, la Regina dei Mari, restano solo tre cuori da aggiungere alla collezione prima di lasciare il trono. La tradizione infatti prevede che quando una regina arriva a collezionare sessanta cuori, ripone la corona. Lira è sul punto di ereditarla. La caccia dei cuori di solito dura un mese, quello del compleanno, ma Lira commette un errore e ne caccia uno prima del suo compleanno. Dopo ben diciassette cuori reali, tutti di principi, La Regina dei Mari la punisce, costringendola a cacciare il cuore di un marinaio.

Sul fronte opposto, nel regno degli umani, c’è un principe un po’ atipico, il principe di Midas. Un vero e proprio pirata che ha fatto del mare, un’entità in continua evoluzione, il suo punto fermo. Il suo destino è quello di governare Midas, il Regno dell’oro, ma i vestiti reali gli sono sempre pesati addosso come piombo. Così ha creato una ciurma di pochi compagni fidati, pronti a tutto per sposare le sue cause e disposti a lanciarsi nel fuoco pur di salvarlo. Il obiettivo è infatti uccidere il Flagello dei Principi e tutte le altre sirene per porre fine alla morte. Il fortuito incontro con un uomo si rivela illuminante. L’uomo gli dice che la vera soluzione per porre sempre fine al regno delle sirene è fare fuori la Regina dei Mari e l’unica arma che può sconfiggerla è il Cristallo di Keto, che può rendere l’uomo per sempre schiavo delle sirene o distruggerle per sempre. Elian allora si lancia in un’impresa all’ultimo sangue, dirigendo il suo equipaggio verso Pagos, o meglio la Montagna delle Nuvole: il posto più freddo che possa esistere. Una scelta non priva di ingegno perché sceglie di avere al suo fianco la futura principessa di Pagos.

Durante il viaggio, però, si verifica un imprevisto. Alan trova, distesa tra le acque dell’oceano, una ragazza. È un evento che coglie tutti i membri a bordo imprevisti. Chi è questa ragazza dispersa nelle acque scure della notte? Come mai si trova lì e come ci è arrivata? E se fosse una trappola?

Nonostante i dubbi, la ciurma decide di salvarlo, anche se si rivelerà l’errore più grande che abbia mai potuto commettere. Infatti, dietro a quel corpo immacolato e a quel viso apparentemente ingenuo, si nasconde il Flagello dei Principi. D’altro canto, vestire i panni della sua preda preferita, non era nei piani della sirena ed è perfino peggio di un giro all’inferno. Ma questa è la punizione peggiore che la Regina dei Mari avrebbe mai potuto infliggere all’ira, sarebbe stata proprio la traslazione in un corpo umano. L’ultima chances per riconquistare la fiducia di sua madre, sarà quella di rubare il cuore al principe di Mida s’, il più spietato dei predatori di sirene.eppure il corso degli eventi prende una piega imprevista, in attesa, che metterà a dura prova la lealtà di lira nei confronti del suo popolo marino.

Alexandra Romano

Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald (1925) – RECENSIONE

Il narratore de Il grande Gatsby, Nick Carraway, è un ragazzo proveniente da una famiglia benestante, tra le più influenti nel Middle West. Da giovane si arruola nella Grande Guerra, e al suo rientro trova un Middle West arretrato e tagliato fuori dal mondo. Così decide di trasferirsi a est per imparare a fare il mediatore finanziario. Trova così una villa fuori città incastrata tra due lussuosi edifici, con affaccio sul giardino di un uomo molto ricco: Gatsby. A cena dai Buchanan, lontani parenti dei Carraway, conosce sua cugina di secondo grado Daisy e suo marito Tom. Tom e Nick si conoscono dai tempi del college, solo che lui è ancora alla ricerca del suo posto nel mondo, mentre Tom è diventato uno dei giocatori di football più forti del New Heaven. Anch’egli di discendenza nobiliare, Tom aveva lasciato Lake Forest, una zona ricca di Chicago, per trasferirsi ad est.

Quando, un giorno, Nick incontra i due nella loro nuova villa, viene a conoscenza dei lati oscuri del rapporto tra Tom e Daisy. Tom incarna, in questo frangente, il pensiero dell’epoca: la paura dell’estraneo, la convinzione della superiorità della razza bianca come emblema di arte e purezza. È un maschilista di prima categoria, avvezzo a giudicare le donne come meri oggetti sotto il controllo dell’uomo. Pare che abbia un amante a New York e Daisy sembra disprezzarlo. Infatti, pare che quando sia nata sua figlia sia stato un fantasma. Ma il vero fulcro della storia è il suo vicino, “il grande Gatsby” che dà delle feste memorabili nella sua villa e che, se solo lo volesse, potrebbe comprarsi anche il cielo. Gatsby però nasconde un passato tutt’altro che roseo.

Di estrazione proletaria, Gatsby viene accolto sullo yacht di un uomo sulla soglia dei cinquanta, che alla sua morte gli lascia parte della sua eredità.
Se la vita è un misto di coincidenze destinate ad aggrovigliarsi come i rami di una quercia, Nick scopre che Gatsby è vicino a lui più di quanto possa immaginare. Infatti, egli ha avuto una relazione con Daisy e, nonostante si sia sposata, non l’ha mai dimenticata. Così decide di combinare un incontro segreto, un tè. Quel giorno segnerà la svolta. Daisy si ritroverà a fare i conti con il rimpianto di un sogno mai inseguito, quello di stare con l’uomo che ama. Quando incontra di nuovo Daisy, i due sembrano non essersi mai lasciati. Due corpi e un’unica anima, tanto che Nick assume le sembianze di un fantasma, un suppellettile al quale non si dà conto.

Alexandra Romano

La fattoria degli animali di George Orwell (1945) – RECENSIONE

Pubblicato per la prima volta nel 1945 con il titolo Animal Farm, “La fattoria degli animali” è più attuale che mai. La schiavitù animale, la nuova classe operaia nella concezione marxista del XXI secolo, viene messa all’angolo da uno spiccato senso di rivolta. Il vecchio padrone, Jones, viene messo all’angolo. Polli, maiali, cani, cavalli fondano una nuova forma di governo basata sui principi politici dell’Animalismo. Capostipiti di un nuovo regime, che respira un’aria fresca di socialismo, sono i maiali. Infatti è proprio il più anziano di loro il fautore della nuova era, conosciuto come il “Vecchio generale”. Questi lascerà alla fattoria i suoi insegnamenti che saranno la base per i “sette comandamenti” che determineranno il cambio di regime da “Fattoria padronale” a “Fattoria degli animali”:

1. Tutto ciò che va su due gambe è nemico,
2. Tutto ciò che va su quattro gambe o possiede ali è amico,
3. Nessun animale indosserà vestiti,
4. Nessun animale dormirà in un letto,
5. Nessun animale berrà alcolici,
6. Nessun animale ucciderà un altro animale,
7. Tutti gli animali sono uguali.

Ma chi avrà il delicato ruolo di gestire la nuova forma di “governo” alla Fattoria degli Animali?

Se è vero che i maiali sono la specie più istruita, ci riesce quasi naturale pensare che saranno Palladineve e Napoleone. I suini più intelligenti del branco, distanti come il fuoco e l’acqua. Le loro iniziative conviveranno, con fatica, per un periodo. Palladineve insegna a leggere e a scrivere, mentre Napoleone si cimenta nell’educazione dei cagnolini ai principi dell’Animalismo.

Un giorno l’imboscata di Jones e altri uomini fa precipitare l’ordine che sembrava essersi eretto. La battaglia va a buon fine e Jones viene sconfitto per una seconda volta. Palladineve coglie l’occasione per annunciare un progetto che prevede la costruzione di un mulino a vento, ma Napoleone si oppone all’istante. Da un semplice dissenso si passa presto a un litigio che termina in un vero e proprio colpo di stato a opera di Napoleone, che fa assalire Palladineve dalla banda di cani che ha istruito sin dalla loro infanzia.

Con il passare delle settimane si va definendo sempre più un sistema politico dittatoriale, che si erige sulle spalle di animali colpevoli di non saper leggere, sottoposti a dei lavori non meno forzati dei tempi di Jones. Una similitudine voluta che ci rinvia ai tempi dell’Unione Sovietica, di cui dittatura e culto della personalità erano i valori fondanti. Napoleone si dimostra un leader carismatico capace di convincere il suo popolo a fare o credere qualunque cosa. Anche i famosi comandamenti, una volta considerati inviolabili, subiscono un contraccolpo. Ad esempio la massima “nessun animale dormirà in un letto” viene sostituito con “nessun animale dormirà in un letto con le lenzuola“.

Si parla dunque di un vero e proprio sistema organizzativo, fondato su delle leggi concrete della Fattoria degli Animali. Infatti all’interno di quelle leggi rientrano anche i limiti di età fissati per ogni animale per andare in pensione. 12 per i cavalli e i maiali, 14 per le mucche, 9 per i cani, 7 per le pecore e 5 per galline. Vi sono anche delle vere e proprie riforme politiche, come la costruzione di una scuola per addestrare i cuccioli, ma tutto questo è solo di facciata.

Il sistema viene ben presto sovvertito da Napoleone, che si dimostra non meno diverso di Jones. Un giorno, ad esempio, spaccia il furgoncino del macellaio per quello di un veterinario – cosa non difficile da momento che la maggior parte degli animali è analfabeta – e fa portare via Gondrano, uno dei cavalli, venduto per farci i soldi per acquistare del whisky.

L’evento che capovolge l’intero assetto è la sostituzione del comandamento “Quattro gambe buono, due gambe cattivo” con “Quattro gambe buono, due gambe meglio“. Una sera la fattoria sorprende i maiali a camminare su due zampe, indossare abiti vistosi e bere whisky.

Alessandra Romano

“The Ones” di Veronica Roth (2020) – RECENSIONE

Spesso si sottovaluta il genere fantasy/fantascientifico, ma sempre di più mi accorgo che fatti, emozioni e relazioni della vita reale non avrebbero lo stesso sapore, se non fossero raccontate con un pizzico di magia. The Ones ci invita a riflettere su drammi contemporanei come il terrorismo islamico, il potere indiscriminato delle grandi multinazionali a discapito di altri esseri viventi. The Ones è uno degli esempi per cui ho scelto di raccontare drammi quali separazioni, abbandoni, disastri naturali, in questo modo. La fantascienza spazza via il torpore di un racconto drammatico e ci consente di focalizzarci meglio sui dettagli che muovono la nostra parte riflessiva.

“The Ones”: la mia recensione…

Ambientato in una Chicago contemporanea, il romanzo di Veronica Roth è una spiaggia su cui fantasia e realtà si incontrano. Un mondo dove dei “Prescelti” combattono il male che si manifesta durante i Gorghi. I Gorghi simboleggiano la noncuranza con cui vengono rasi al suolo chilometri di foreste per erigere nuovi allevamenti intensivi. O, ancora, potrebbe essere un rinvio alle guerre del passato, all’olocausto, che hanno spezzato la vita di molte persone in un battito di ciglia. Il male si incarna in una figura incognita, l’Oscuro, che indossa una maschera diversa a seconda dei suoi fini. L’Oscuro è un essere deprecabile che vive sulle ceneri di ciò che l’umanità ha costruito per esistere e il terrore notturno che fa tremare gli animali in un bosco.

L’unica speranza per salvare il mondo è racchiusa in cinque ragazzi: Matthew, Sloane, Esther, Iris, Albie. Ognuno possiede un dono speciale, una piccola arma che può combatterlo. Infatti, qualche tempo fa, la loro unione è riuscita ad annientarlo, ma dopo l’ultima battaglia ognuno di loro ha cercato di superare il dramma dei Gorgi. Chi vive di benzodiazepine, chi si è costruito un’immagine sui social e chi, purtroppo, è caduto vittima di droghe. Poi c’è Sloane, che dopo il progetto governativo Immersione Profonda, non è stata più la stessa. Qualcosa di oscuro e potente le ha attraversato la pelle, l’Ago di Koshei, che resterà legato a lei per sempre.

La scomparsa di Albie determina il rovescio della medaglia. Una trasmigrazione imprevista su Genetrix, universo parallelo alla Terra, momento in cui The Ones raggiunge l’acme. I prescelti prenderanno parte a una missione che potrebbe determinare la sorte dell’umanità di Genetrix e della Terra. La magia è l’unica arma per sperare di vincere, una volta per tutte, contro l’Oscuro.

Alexandra Romano

“L’incendiaria ” di Stephen King (1980) – RECENSIONE

La capacità di King di maneggiare con cura e precisione due generi complessi, come l’horror e la fantascienza, lo rendono un guru per gli scrittori del futuro. La sospensione dell’incredulità con King riesce alla perfezione. Scrittura fluida e dettagli dosati con la meticolosità degli ingredienti di un dolce catapultano il lettore in una realtà altra. La ragione lascia spazio all’immaginazione e subentra la magia. L’effetto che ho sortito leggendo “Lincendiaria”. Romanzo scritto più di trent’anni fa, eppure moderno e scorrevole da conquistarsi un posto di tutto rispetto nella post-modernità. Perché “L’incendiaria” mette a nudo il lato più oscuro dell’essere umano, emblema di un’esistenza in bilico su una fune posta sul confine che separa i continenti del male e del bene.

“L’incendiaria”: la mia recensione…

Charlie è una bambina nata all’ombra dell’unione tra due ragazzi, Andy e Vicky, che diversi anni prima hanno preso parte a un esperimento incluso in un progetto per preservare la pace e la democrazia nel mondo. Tale esperimento includeva il Lot Six, una sostanza speciale che agisce sull’ipofisi, e che si concretizzerà nella sua massima espressione alla nascita della piccola.

La parapsicologia, scienza astratta agli occhi di molti, per i due diventerà un tarlo del quale non potranno più liberarsi. Vicky saprà aprire i cassetti o accendere il televisore solo con l’intenzione. Andy, invece, acquisirà la cosiddetta “spinta”, dote ipnotica che gli consente di avere tutto ciò che vuole dalle persone, non esente da conseguenze proprie e altrui. Più più farà pressione sulla sua mente, e più il dolore inizierà a inveirgli contro. Mentre il tentativo di aprirsi un varco in una mente altra, provoca nella medesima uno squilibrio che, se non rimediato in tempo, può condurre la stessa perfino al suicidio.

Impareranno a conviverci? A questo è difficile rispondere, specie se le scelte del passato possono ripercuotersi ripercuotersi sul presente, sulle persone che amiamo. Qui subentra Charlie, “l’incendiaria”, bambina più intelligente e matura di quanto possa immaginare. Il suo unico problema sono le emozioni. Charlie governa uno dei quattro elementi, il fuoco, e ogni cosa che prova può potenzialmente ardere un intero bosco. La sua pirocinesi metterà a dura prova la sua e l’esistenza di Vicky ed Andy.

È in questo frangente, nel delicato equilibrio che governa la vita della piccola, che si inserisce La Bottega. L’organizzazione governativa responsabile delle ripercussioni del Lot Six sulle gente e sarà sempre lei che inizierà a perseguitarli non appena la notizia dei poteri di Charlie giungerà ai piani alti. Due agenti sorveglieranno la famiglia e aspetteranno il momento giusto per rapire la bambina. Il momento giusto però si traduce nell’omicidio della madre, così Andy e Charlie dovranno iniziare a vedersela per conto loro, mentre il fantasma di Vicky resterà per sempre impresso nel cuore di Charlie.

Alexandra Romano

“L’amico immaginario” di Stephen Chbosky (2019) – RECENSIONE

Protagonista de “L’amico immaginario” è Christopher, un bambino orfano di padre, con una madre che si spezza in due per lui e poi vi è un terzo soggetto: l’uomo gentile. Un essere senza volto che appare sotto diverse forme: faccia di nuvola, un sacchetto di plastica che si muove. Parla con Christopher e gli dice di seguirlo. Il bambino, ignaro di ogni pericolo, lo ascolta e raggiunge il bosco di Mission Street: una miniera di segreti allucinanti che sembra essere popolata da spiriti. Christopher scompare per ben sei giorni e, quanto ritorna, è un’altra persona. Ha un amico “immaginario” con sé ed è molto più intelligente. Non ha più la dislessia e legge i libri in men che non si dica. Tutto questo ha però un prezzo, che di giorno in giorno diventerà più caro, a partire dalle sue forti emicranie.

Christopher e Kate sono appena fuggiti da Jerry, l’ex fidanzato di Kate che soffriva di alcolismo e la maltrattava giorno e notte. Un nuovo lavoro in una cittadina tranquilla, Mill Grove, e il bene tra una madre e suo figlio sono gli ingredienti perfetti per una vita felice. Tuttavia la scoperta che il bosco sia a soli due passi dall’abitazione le farà gelare il sangue. Nonostante prometterà alla madre di non ritornarci, il richiamo del bosco sarà più forte della volontà di Christopher. L’uomo gentile diventerà la sua spalla, il suo amico immaginario appunto, che lo condurrà alla strada per comprendere il suo insolito legame con il bosco. Christopher scoprirà di avere una missione: costruire una casa sull’albero. Non portarla a termine potrebbe condizionare le sorti stesse del mondo.

Entrando nel cuore de “L’amico immaginario” questa forma di intelligenza “potenziata” di Christopher si trasformerà in un virus benevolo che contagia chi gli sta attorno. Una trama invisibile che lega gli abitanti della cittadina come i fili di un gomitolo di lana. È la telepatia, che sintonizza gli esseri umani sulla stessa frequenza.

Christopher dovrà fare i conti con un nemico potente: la signora che sibila. Una specie di strega assetata di sangue che secoli prima ha massacrato il mondo, causato epidemie e ha generato il male tra gli esseri umani. L’unica soluzione era un bambino: David, una luce in mezzo al buio. Anche lui ha costruito una casa sull’albero e la sua anima ha placato per un po’ il perpetuarsi del male. Ma quando la signora che sibila lo ha intrappolato nella parte immaginaria, fino ai limiti estremi della sopravvivenza, il buio è ripiombato sulle popolazioni.

Alexandra Romano

“La zona morta” di Stephen King (1979) – RECENSIONE

Il mio rapporto con la scrittura di King non è stato facile. All’inizio non ho apprezzato il suo modo di scrivere. Forse per l’età, in quanto ho letto il suo primo romanzo intorno ai quindici/sedici anni; forse perché i miei gusti letterari erano ancora indefinibili. Ricordo che in quei due romanzi che lessi, la trama veniva lasciata sospesa nel vuoto, lasciando al lettore libera immaginazione. All’epoca, provai molto fastidio per questo ma, ripensandoci, è un modo per coinvolgere il lettore in prima linea. Troppo spesso gli autori, talvolta accecati dall’amore nei confronti della propria creatura, dimenticano il loro interlocutore, componente tutt’altro che secondaria. Senza un seguito di lettori un libro è condannato all’oblio. Dunque con romanzi non “tradizionalmente conclusivi” egli può prefigurarsi nella mente il proprio finale sulla base delle proprie convinzioni, della propria cultura e della propria concezione della storia.
Ma La zona morta – insieme ad altri romanzi come Le Creature del buio o L’incendiaria, di cui vi parlerò in seguito – mi ha fatta ricredere e nel prossimo paragrafo vi spiegherò perché.

La zona morta: la mia recensione…

La storia recensita in questo articolo è un romanzo del 1979, intitolato La zona morta, capolavoro sull’introspezione che illustra come un percorso di malattia cambia la vita a un uomo, diventando l’occasione per scoprire meglio sé stessi.
Johnny è uomo semplice. Insegna alle superiori e, forte nell’ironia, conquista Sarah, donna sfiduciata per la sua ultima esperienza con il genere umano. Il loro è un legame maturo, che nasce tra una riunione e una pausa pranzo, ma quando è pronto a trasformarsi in amore, Johnny subisce un grave incidente stradale e finisce in coma per quattro anni. Al suo risveglio, si ritrova con una nuova sensibilità, diventando capace di cose inenarrabili.

In quegli anni cambiano molte cose. Il padre, esasperato dal fanatismo religioso della moglie, arriva a sperare che muoia e Sarah si costruisce la vita tradizionalista di ogni donna borghese, con accanto un uomo che punta a diventare l’avvocato più rinomato d’America. Eppure quegli anni saranno necessari a creare quella zona morta nella sua mente, prezzo ultimo da pagare per quella capacità extrasensoriale che Johnny respingerà con tutte le sue forze. Eppure sarà grazie a quel potere psionico che Johnny vivrà l’ora di passione tanto agognata con la sua Sarah.

La nuova facoltà del protagonista, la telepatia, getta un ponte sull’insensibilità odierna dell’uomo. È uno specchio sui retroscena della politica più sporca, che si maschera di finto buonismo e ironia, ma in realtà è fatta di corruzione e criminalità. Greg Stillson è il colletto bianco per antonomasia. Un uomo privo di scrupoli che non prova tenerezza neanche di fronte a un amico a quattro zampe. Un uomo venuto dalla miseria ma che, entrato in politica, ha dimenticato le sue origini. Vigliacco da assumere degli “strozzini” per intimorire ogni suo nemico. Così, quando Johnny gli stringerà la mano, vedrà il futuro ne suoi occhi e sarà costretto a prendere una decisione che gli costerà ogni cosa. Forse, perfino la vita.

Alexandra Romano

“Ragazzi della tempesta” di Elle Cosimano (2020) – RECENSIONE

Ragazzi della tempesta mi ha presa in modo insolito e del tutto singolare. Per la prima volta ci ho messo tempo a entrarci dentro, masticare le emozioni e gli scenari che essa evocava. Una delle cose che più mi ha colpita dell’autrice è la ricercatezza di ogni più piccolo dettaglio, valida palestra per ogni potenziale scrittore. Dalla Cosimano ho appreso che niente è banale nella narrativa e che anche la cosa più semplice non va trascurata. Un’espressione, un oggetto, una scena. La trama è così squisitamente originale e satura di elementi affascinanti, da essere sempre più intrigante mano che si avanza nella lettura.

Ragazzi della tempesta: la mia recensione…

Le colonne portanti di Ragazzi della tempesta sono le stagioni, portavoci di storie ed emozioni irripetibili, che hanno plasmato anche la loro vita oltre la morte. Eh sì, perché così come la Primavera incarna la rinascita nel mese di marzo, è anche simbolo di morte nel periodo più caldo dell’anno: l’Estate.

La storia si articola su una catena di eventi fatti di lotte e conquiste, desideri e aspirazioni, nelle quali s’intravede il sottile rinvio alle conquiste umane. Colonialismo, Grande guerra. Fleur, la Primavera, è costretta a uccidere Jack, l’Inverno, per prendere il predominio nel mese di marzo. Julio però, l’Estate, la uccide ogni anno a giugno. Avvenente, affascinante, passionale. Così come l’Inverno e la Primavera iniziano a deteriorarsi man mano che le giornate si allungano, anche l’Estate va incontro alla fine e il predatore è Amber, l’Autunno. Jack, infine, uccide Amber.

Un altro dettaglio interessante è che a ogni nuova stagione, le precedenti ritornano nel sottosuolo, in camere di stasi – delle “batterie” che le ricaricano – prima di risvegliarsi. Alla fine del periodo dominante, a ogni stagione è assegnato un punteggio all’interno di una classifica. Questo punteggio è fondamentale per il suo risveglio, perché al di sotto di un certo valore le stagioni vengono terminate.

Un sistema progettato a regola d’arte, non è così?
Purtroppo no. Il tempio della vita realizzato da Cronos, il Dio del tempo, è suscettibile di attacchi. Una delle sue fondamenta è divieto di congiungimento tra le stagioni. Proprio quello che accade tra Jack e Fleur. Jack, da sempre innamorato di Fleur, decide di salvarla dalla sua situazione di svantaggio nella classifica portando il caos. Inizierà così una ribellione che cercherà di ribaltare ogni pilastro dell’edificio messo in piedi da Cronos.

Alexandra Romano

“Io, Robot” di Isaac Asimov (1950) – RECENSIONE

  1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
  2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge.
  3. Esso deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.

Capostipite del connubio perfetto tra uomo e tecnologia, emozione e opzione, Asimov ha concepito una trama fonte di riflessione sul progresso tecnologico. La singolarità tecnologica, la nuova corsa allo spazio, rischia di renderci “biologicamente obsoleti”, trasformando macchine e applicazioni nella forma di vita dominante. Il romanzo è strutturato in nove storie interconnesse da un unico filo conduttore che ci consente di interrogarci sul senso dell’esistenza dei robot. Trama intrigante e scorrevole, a tratti quasi vicina a un saggio, perché assume lo scopo di farci interrogare sulla tecnologia. Quanto si evolverà? Ci supererà in quando esseri dominanti sulla terra o conviverà al nostro fianco fungendo da spalla destra?

Io, Robot : la mia recensione

La storia del legame tra una bambina e un robot

Il romanzo si apre con una storia di una bambina, Gloria, e la sua dolce amicizia con Robbie, un robot sociale creato per scopi relazionali. Asimov riesce a raggiungere, con l’eleganza delle sue parole, anche i sentimenti più genuini di una bambina nei confronti di un congegno elettronico. Eppure, in quel robot c’è qualcosa di più. Malgrado le continue ramanzine e i tentativi di sua madre di separarla dal suo amico di silicio, nessuno riuscirà a spezzare questo “legame”. Perché Robbie è in grado di provare emozioni come ogni essere vivente e il suo destino non è certo in una fabbrica di cemento. Antesignano dei robot odierni, intelligente, empatico, Robbie avverte i pericoli e le emozioni dell’uomo. Emerge inoltre anche il sentimento del tempo del Novecento, fatto della paura della disoccupazione, causata dall’introduzione di macchine che, in realtà, hanno la finalità di emanciparlo dai lavori più stancanti. Ma siamo davvero sicuro che, con il progredire della ricerca, avremo sempre tutto sotto controllo?

Speedy: un robot speciale

Questa storia invece è l’emblema di uno dei principali archetipi della fantascienza novecentesca, nonché la conquista dello spazio, di nuovi universi, in questo caso Mercurio. Due scienziati vengono inviati per effettuare delle operazioni di aggiusto su Speedy, uno dei robot più intelligenti progettati e lanciati nello spazio, in quanto capace di controllare una stazione spaziale. I due scienziati non riusciranno però facilmente nella loro impresa. Speedy uscirà fuori controllo e saranno costretti a cercarlo per diverso tempo, rischiando anche la vita a causa delle elevate temperature su Mercurio. I due uomini saranno pertanto costretti ad affidarsi alla potenza, un po’ rudimentale, di due grandi robot industriali. In realtà, però, uno dei due è più intelligente di quanto si possa pensare. Questi ci riporta all’androide dickiano presente in “Do Androids Dream of Electric Sheep?”, che si interroga sul senso del propria esistenza, e comprende di essere stato creato con uno specifico fine.

Uno degli aspetti che più mi hanno colpita è la considerazione, dell’autore, dei robot come degli esseri pensanti, capaci di provare sentimenti. Asimov, insieme a Dick, ha anticipato anni e anni prima i progressi della tecnologia e dell’intelligenza artificiale, inscenando storie che hanno come protagonisti esseri empatici, dotati di iniziativa personale e simboleggianti anche il superamento dei confini. Ancora oggi diverse persone sono scettiche nei confronti del progresso tecnologico, ignorando i vantaggi in termini umani e sociali a cui esso potrebbe condurre, ma qual è la linea sottile che separa umano da inumano? Quali potrebbero essere le conseguenze di un mondo in cui la tecnologia diventa protagonista indiscussa della scena?

Alexandra Romano